Bologna. I colori abbacinanti dei suoi quadri sfuggonno ai luoghi comuni, mentre i protagonisti si allontanano dalla calca per trovare riparo nell'irrequietezza della solitudine. C'è chi lo ritiene un narratore di storie e chi, al contrario, l'unico che ha saputo fermare l'attimo - cristallizzato nel tempo - di un panorama, come di una persona. E' stato lo stesso Edward Hopper (1882-1967) - il più popolare e noto artista americano del XX secolo - uomo schivo e taciturno, amante degli orizzonti di mare e della luce chiara del suo grande studio, a chiarire la sua poetica: "Se potessi dirlo a parole, non ci sarebbe alcun motivo per dipingere". La mostra, aperta dal 25 marzo fino al 24 luglio a Palazzo Fava - Palazzo delle Esposizioni di Bologna, è prodotta e organizzata da Fondazione Carisbo, "Genus Bononiae. Musei nella Città" e Arthemisia Group, in collaborazione con il Comune di Bologna e il Whitney Museum of American Art di New York. Circa una sessantina le opere esposte, emblema di una poetica che affida ai pastelli l'enucleazione della solitudine e dell'alienazione dell'uomo del '900. Al centro il mare, la luce salina, i colori accesi che incastonano i soggetti nella loro condizione, tra caffè notturni e terrazze che spesso fanno capolino, quasi come in un cortometraggio. In esse, ancora, la lezione matura di Degas e l'infarinatura dell'arte fotografica di Atget. E quella malcelata capacità di abbracciare le storie della Lost Generation, da Hemingway ad Anderson passando per Henry James. L'esposizione dà conto dell'intero arco temporale della produzione di Edward Hopper, dagli acquerelli parigini ai paesaggi e scorci cittadini degli anni '50 e '60, attraverso più di 60 opere, tra cui celebri capolavori come South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960), New York Interior (1921), Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), interessantissimi studi (come quello per Girlie Show del 1941) che celebrano la mano di Hopper, superbo disegnatore: un percorso che attraversa la sua produzione e tutte le tecniche di un artista considerato oggi un grande classico della pittura del Novecento. L'esposizione è curata da Barbara Haskell - curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art - in collaborazione con Luca Beatrice. Il Whitney Museum ha ospitato varie mostre dell'artista, dalla prima nel 1920 al Whitney Studio Club a quelle memorabili del 1960, 1964 e 1980. Inoltre dal 1968, grazie al lascito della vedova Josephine, il Museo ospita tutta l'eredità dell'artista: oltre 3.000 opere tra dipinti, disegni e incisioni.
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