EDITORIALE. Ne avevamo dato notizia proprio dalle nostre pagine, nei giorni scorsi: a Salerno, e nella provincia in generale, il mondo del lavoro è in subbuglio. Ad aprire le danze, i lavoratori forestali dipendenti della Comunità Montana Alento-Monte Stella, saliti sui tetti di Palazzo Cagnano. Il provvedimento regionale del 29 febbraio 2011 ha infatti tagliato i fondi alle comunità montane locali del 20%, preparando la strada a sospensione dei lavori e licenziamento degli impiegati, talvolta anche di quelli fissi. Sulla stessa lunghezza d'onda i lavoratori del Consorzio Sa2, che dapprima hanno richiamato Ecoambiente, troppo impelagata in manovre di palazzo, e successivamente hanno inviato una missiva al Capo di Stato, Giorgio Napolitano. Senza dimenticare gli infermieri di chirurgia generale del Ruggi, o gli impiegati pubblici dell'istruzione: l'Amministrazione comunale ha, infatti, tagliato tre insegnamenti e optato per la settimana "corta", con la chiusura delle materne il sabato.
Cosa succede a Salerno? Nulla di molto diverso da quanto accade nel resto della penisola. Se a livello di politica nazionale l' obiettivo di questo governo sembra essere quello di ridimensionare le garanzia sindacali costituzionalmente garantite, da parte degli enti locali si registra una sommessa accettazione di tale politica, che talvolta si traduce in una inerzia, se non apatia, operativa. E sembra inutile avanzare, a parziale giustificazione, l'argomento dell'assenza dello Stato nelle politiche di welfare su scala locale. Ce lo ricorda Dario Vassallo, presidente della "Fondazione Angelo Vassallo", proprio a proposito dei lavoratori delle Comunità Montane: "Angelo era riuscito in pochi anni a portare il bilancio da un deficit di 600 milioni delle vecchie lire ad un attivo di oltre un miliardo di lire, dando sicurezza e futuro per 142 famiglie. Il suo arrvio ha determinato non soltanto un cambio gestionale, ma anche di organizzazione del lavoro".
Il pubblico impiegato, dunque, come bersaglio facile dell'attuale contingenza socio-economica. La strategia di comunicazione del potere pubblico, di qualsiasi livello territoriale, è ormai da qualche anno imperniata sul leit-motiv della colpevolizzazione del cittadino. Con il pretesto del pubblico lavoratore fannullone, e dunque inefficiente per il potenziamento della macchina statale, questo esecutivo ne ha approfittato per tagliare salari, defenestrare definitivamente lavoratori part-time o a tempo determinato ed attuare politiche di privatizzazione dei servizi e delle funzioni pubbliche su larga scala. Dimenticando che, ad esempio, il taglio dei salari conviene sì alla singola impresa, ma non all'industria a livello globale, che rischia così la ciclica crisi di sovrapproduzione. L'assenza di politiche sociali di redistribuzione, unico palliativo a tale devianza, rappresenta lo zenit di autoreferenzialità e disinteresse verso il mondo del lavoro delle classi dirigenti politiche del nuovo millennio.
Ciò accade dovunque così come a Salerno, dove la ristrutturazione estetica della città, accompagnata da provvedimenti discutibili sotto il profilo della solidarietà e del bene comune, ha probabilmente nascosto le gravissime e drammatiche condizioni che attanagliano il suo ventre storico. Ecco dunque che salire sui tetti, o proclamare l'ennesimo sciopero, come quello programmato per il prossimo 15 Ottobre, sembrano essere strade sì facilmente percorribili, ma potenzialmente infeconde. Occorre accompagnarle con proposte concrete: redistribuzione del reddito, trattamento dei disoccupati e delle disoccupate, politiche economiche comunitarie per la costruzione di un'economia solidale. Senza questi presupposti, questo paese, e prima ancora questa città in ginocchio, rischiano di restare piantate nel pantano che li ha inghiottiti.
Cosa succede a Salerno? Nulla di molto diverso da quanto accade nel resto della penisola. Se a livello di politica nazionale l' obiettivo di questo governo sembra essere quello di ridimensionare le garanzia sindacali costituzionalmente garantite, da parte degli enti locali si registra una sommessa accettazione di tale politica, che talvolta si traduce in una inerzia, se non apatia, operativa. E sembra inutile avanzare, a parziale giustificazione, l'argomento dell'assenza dello Stato nelle politiche di welfare su scala locale. Ce lo ricorda Dario Vassallo, presidente della "Fondazione Angelo Vassallo", proprio a proposito dei lavoratori delle Comunità Montane: "Angelo era riuscito in pochi anni a portare il bilancio da un deficit di 600 milioni delle vecchie lire ad un attivo di oltre un miliardo di lire, dando sicurezza e futuro per 142 famiglie. Il suo arrvio ha determinato non soltanto un cambio gestionale, ma anche di organizzazione del lavoro".
Il pubblico impiegato, dunque, come bersaglio facile dell'attuale contingenza socio-economica. La strategia di comunicazione del potere pubblico, di qualsiasi livello territoriale, è ormai da qualche anno imperniata sul leit-motiv della colpevolizzazione del cittadino. Con il pretesto del pubblico lavoratore fannullone, e dunque inefficiente per il potenziamento della macchina statale, questo esecutivo ne ha approfittato per tagliare salari, defenestrare definitivamente lavoratori part-time o a tempo determinato ed attuare politiche di privatizzazione dei servizi e delle funzioni pubbliche su larga scala. Dimenticando che, ad esempio, il taglio dei salari conviene sì alla singola impresa, ma non all'industria a livello globale, che rischia così la ciclica crisi di sovrapproduzione. L'assenza di politiche sociali di redistribuzione, unico palliativo a tale devianza, rappresenta lo zenit di autoreferenzialità e disinteresse verso il mondo del lavoro delle classi dirigenti politiche del nuovo millennio.
Ciò accade dovunque così come a Salerno, dove la ristrutturazione estetica della città, accompagnata da provvedimenti discutibili sotto il profilo della solidarietà e del bene comune, ha probabilmente nascosto le gravissime e drammatiche condizioni che attanagliano il suo ventre storico. Ecco dunque che salire sui tetti, o proclamare l'ennesimo sciopero, come quello programmato per il prossimo 15 Ottobre, sembrano essere strade sì facilmente percorribili, ma potenzialmente infeconde. Occorre accompagnarle con proposte concrete: redistribuzione del reddito, trattamento dei disoccupati e delle disoccupate, politiche economiche comunitarie per la costruzione di un'economia solidale. Senza questi presupposti, questo paese, e prima ancora questa città in ginocchio, rischiano di restare piantate nel pantano che li ha inghiottiti.